Pubblichiamo la prima parte dell’intervista a Maria Stella Marchetti, fondatrice dell’Associazione L’Arcobaleno della Speranza Onlus, che lotta insieme  strutture e operatori sanitari contro leucemia, linfomi e mieloma

Maria Stella Marchetti ci racconta la propria esperienza personale, segnata anni fa da una diagnosi di leucemia fulminante, e da lughi periodi di ricoveri e terapie. E della sua iniziativa, decisa in quel drammatico periodo, di realizzare “una struttura che potesse rimanere accanto a chi si fosse trovato” nella sua stessa situazione, o in altre simili gravi difficoltà.

Il servizio di sostegno psicologico gratuiti per infermieri, medici e operatori sanitari coinvolti nell’emergenza coronavirus, e i pazienti oncoematologici e le loro famiglie.

L’associazione L’Arcobaleno della Speranza Onlus si propone di “promuovere la solidarietà sociale e la beneficenza nel campo delle leucemie e delle altre emopatie e di favorire il miglioramento dei servizi e dell’assistenza socio-sanitaria in favore dei pazienti leucemici ed altri emopatici e delle loro famiglie.” In queste settimana ha attivato anche un servizio di sostegno psicologico e counseling gratuiti per infermieri, medici e operatori sanitari coinvolti nell’emergenza coronavirus, e pazienti oncoematologici in isolamento a domicilio o ospedaliero e familiari. Questo il link per donare sangue, midollo e cordone ombelicale, particolarmente importante in questa emergenza.

Come è nata la vostra associazione e con quali obiettivi ?

L’Associazione istituzionalmente è nata dieci anni fa quando, ricevuta la diagnosi di leucemia fulminante, mi sono dovuta sottoporre a lunghi ricoveri. In quei momenti bui nei quali mi trovavo a colloquio solo con me stessa, mi sono ripromessa, una volta che avessi sconfitto la malattia, di utilizzare le mie possibilità per ideare una struttura che potesse rimanere accanto a chi si fosse trovato nella mia situazione o in analoghe difficoltà.

Mentre ero li che combattevo la mia battaglia ho capito di quante e quali necessita il paziente onco-ematologico che – per ragioni legate alla tipologia di cure alle quali deve essere sottoposto – è isolato da tutto e da tutti.

E’ in quelle situazioni che si comprende quanto sia importante la ricerca scientifica, quanto importanti sono i donatori di sangue e di emocomponenti, come ad esempio le piastrine e ancor di più il midollo osseo. Il supporto che ogni individuo può fornire è essenziale più di quanto si creda.

Desideravo quindi perseguire gli obiettivi necessari a supporto del paziente e di coloro che lo affiancavano. Tale primo risultato avveniva mediante la fornitura – all’interno dei reparti di ematologia – di apparecchiature di ultima generazione per seguire meglio il paziente (si pensi solamente a dei monitor multiparametrici, degli elettrocardiografi, poltrone per i prelievi. Altri risultati si raggiungevano ad esempio mediante l’acquisto di televisori nuovi e di PC al fine di consentire al paziente che si trovasse in isolamento forzato di entrare in comunicazione con l’esterno, ricevendo anche il conforto dei familiari. Non meno importante era l’obiettivo di sensibilizzazione continua nelle persone, soprattutto tra i giovani, a diventare donatori di sangue e di midollo osseo. Da altro punto di vista si favorivano gli incontri sia creativi che di supporto psicologico per i pazienti mediante attivazione di percorsi di cura della immagine, il make-up terapy. Come si vede non mancano mai le idee da realizzare e per questo devo ringraziare quanti credono, come me, in questo progetto continuativo, fornendomi aiuto materiale e supporto volontaristico.

Che difficoltà avete incontrato in questi anni ?

Volendo tralasciare le difficoltà comuni a tutte le iniziative private, certamente la burocrazia è la peggior nemica del malato. Basti pensare a quanto risulta laborioso l’iter da seguire per il malato (o per un familiare) per avviare una richiesta di invalidità o per l’assistenza, e lo sa bene chi – in qualche momento della vita- abbia avuto a che fare con tali incombenti. Ma si pensi anche alle enormi difficoltà che il malato deve affrontare, ad esempio, nella prosecuzione del lavoro che risente irrimediabilmente del calvario sanitario da dover seguire. Non sempre i datori di lavoro comprendono i percorsi chemioterapici e i tempi di ripresa. Questo senza voler menzionare i liberi professionisti, i lavoratori autonomi. Ma è solo un esempio.

Dall’altro lato la burocrazia rallenta notevolmente anche l’acquisto dei macchinari per i quali, magari, si è faticosamente arrivati a raccogliere la somma prevista. Al momento di realizzare l’acquisto si resta in attesa del disbrigo di inutili quanto lunghe attività di approvazione. Lo scoglio più grande, però, lo troviamo quando si intraprende l’avvio di progetti all’interno dell’Ospedale; nessuno contesta la necessità di ottemperare alle procedure previste e soprattutto le normative richieste per poter procedere nel settore sanitario, ma passa troppo tempo per ottenere i placet previsti e il tempo, come sanno bene gli operatori del settore, in certi casi è davvero prezioso.

Dal punto di vista personale come riuscite a gestire il coinvolgimento emotivo ?

Non è semplice, soprattutto per chi ha vissuto quell’esperienza in prima persona oppure avendo accompagnato un familiare, specialmente quanto l’esito non è felice. Ogni volta che ci si trova in determinate situazioni è impossibile non lasciarsi andare ai ricordi, ma non bisogna lasciarsene sopraffare. Le ferite non guariscono mai veramente, restano impresse nella memoria e nel fisico come le cicatrici dei grandi guerrieri. Ma i guerrieri richiamano alla mente gli eroi ed è questo che infonde continua forza e determinazione nel voler aiutare chi, come te, è passato per quella esperienza, purtroppo, indelebile. Il coinvolgimento emotivo, poi, non è detto che sia negativo, anzi, credo che consenta di apprezzare meglio le cose della vita. Diciamo che per la nostra associazione l’empatia è un credo ideologico.

https://www.federagione.org/2020/03/30/intervista-solidarieta-sociale-per-leucemia-e-emopatie-nellemergenza-coronavirus/?fbclid=IwAR0hD1K00IeP-FPxtb3e4Ajt1GzEjm0jZGBdZRtl6KS6XgOPnqbvI4r7Fow

Aprile 6, 202

Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista a Maria Stella Marchetti, fondatrice dell’Associazione L’Arcobaleno della Speranza Onlus.

L’associazione lotta da numerosi anni – insieme a strutture e operatori sanitari – contro leucemia, linfomi e mieloma. Come scrivevamo nella prima parte dell’intervista, la fondatrice Maria Stella Marchetti ci racconta la propria esperienza personale. Come paziente, segnata anni fa da una diagnosi di leucemia fulminante, e da lunghi periodi di ricoveri e terapie.

E come persona che ha voluto reagire, creando questa associazione. Una decisione arrivata proprio nel drammatico periodo della malattia. Con la volontà di mettere in piedi “una struttura che potesse rimanere accanto a chi si fosse trovato”  in situazioni come la sua, o in altre gravi difficoltà.

Questo il link per la prima parte dell’intervista. Solidarietà sociale per leucemia e emopatie nell’emergenza Coronavirus.

Quali sono le principali necessità della vostra associazione e dei vostri assistiti ? Quali in particolare in questa emergenza Coronavirus – Covid19 ?

L’associazione ha continue necessità da soddisfare; d’altronde abbiamo detto che la nostra mission è quella di offrire continuo supporto ai malati e ai familiari con ogni mezzo di cui possiamo disporre. Sin dall’ insorgenza di questa pandemia abbiamo interrotto ogni tipo di attività: dal supporto di gruppo psicologico, ai laboratori, proprio per evitare contagi e inutili preoccupazioni. Avevamo numerose iniziative in programma, soprattutto in vista dell’imminente periodo Pasquale.

Purtroppo le nostre attività, come tutte le altre del resto, sono state penalizzate dalla impossibilità di organizzare eventi, spettacoli, raccolte fondi, vendita di oggetti artigianali e di beni offerti da sponsor. Dovremmo pensare in maniera alternativa a come poter realizzare questi progetti per ricavarne preziose risorse da utilizzare per gli scopi associativi.

In che modo l’attuale pandemia ha impattato sulle vostre attività e gli obiettivi che vi eravate prefissati quest’anno ?

Un grande shock emotivo. I nostri pazienti sono tutti immunodepressi. Durante il percorso della malattia si deve restare isolati e anche durante le terapie non si possono frequentare posti affollati, proprio per evitare contagi di ogni tipo. Ovviamente con la pandemia le preoccupazioni sono aumentate. Ma la nostra apprensione ed il nostro pensiero quotidiano va soprattutto alle persone ricoverate che non possono ricevere nessuna visita. Per questo abbiamo attivato – per ogni gruppo – il sostegno online che ci permette di parlarci e vedere se qualcuno ha bisogno di qualcosa.

Come vive e come vivono i vostri assistiti questa emergenza ?

In questa situazione di quotidiana precarietà non è certo facile aiutare i malati di cui ci occupiamo a gestire l’ansia e la paura che provano; alla consapevolezza della propria malattia si aggiunge la preoccupazione che i propri congiunti possono essere colpiti dal virus. Sono malati che già vivono l’isolamento per lunghi periodi e per loro l’unico conforto di vedere i propri cari, anche per pochi minuti e magari in modalità protetta, costituisce l’ancoraggio con il mondo esterno e la speranza di ritrovare una vita normale.

Adesso che anche questo viene meno vivono ancora di più la sensazione di impotenza e di abbandono. Per noi operatori è faticoso mantenere la lucidità e il distacco emotivo necessario a supportarli psicologicamente in modo efficace. Cerchiamo di mantenere viva la speranza che attraverseremo questo momento difficile con l’aiuto reciproco.

Se dovesse rivolgere un appello alle istituzioni quali interventi chiederebbe, in questo momento e dopo che avremo superato questa emergenza ?

Sembra una cosa ovvia, ma da questa esperienza abbiamo certamente capito che l’emergenza sanitaria è stato possibile arginarla solo grazie al lavoro indefesso dei sanitari, anche in condizioni al limite dell’impossibile. Non dimentichiamo che il sistema sanità pubblica è stato ripetutamente ridotto e tagliato con sciagurati piani regionali in nome di un fantomatico risparmio economico.

Poi è arrivata la pandemia e tutti hanno potuto toccare con mano la professionalità e la dedizione al lavoro di quanti si sono prodigati nelle strutture pubbliche rimaste (e ridotte ai minimi termini). Uno dei primissimi interventi da chiedere è, quindi, il potenziamento della sanità pubblica mediante un piano straordinario di assunzioni di personale medico e paramedico al fine di garantire alti livelli assistenziali anche in situazioni di emergenza come quella attuale.

Non solo, ma non è più procrastinabile il potenziamento della ricerca scientifica nel nostro paese: bisogna investire, soprattutto per evitare che i nostri ricercatori cerchino il giusto riconoscimento lavorativo all’estero.

Tuttavia neppure questo basta. Nessuno sa quando, ma ad un certo punto ripartiremo. E allora si conteranno i danni, anche economici. Vorrei suggerire alle Istituzioni un nuovo piano di rilancio delle imprese nazionali ma anche dell’artigianato e dei piccoli lavoratori autonomi: è anche grazie ai loro sforzi che si potrà uscire da questa crisi pandemica, e allora non dovremo dimenticarli quando sarà tutto finito. E come diciamo sempre noi Uniti si vince !

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