Lo scorso 26 marzo 2011 l’inserto femminile del Corriere della Sera ”Io Donna” ha pubblicato un racconto dal titolo “Sulle tracce del futuro di mio figlio”. È il viaggio emozionale di una donna che va in Belgio a verificare che cellule staminali del cordone ombelicale di suo figlio siano conservate correttamente.Questo racconto, che fa leva sul fattore emotivo delle mamme, si potrebbe interpretare come una forma di pubblicità occulta da parte delle Banche private estere.Riteniamo opportuno pubblicare tale racconto e la lettera di risposta inviata alla redazione del Corriere della Dott.ssa Luciana Teofili, ematologa, segnalata all’Adisco dalla Prof. Gina Zini, Responsabile della UOC Servizio di Emotrasfusione del Policlinico Gemelli di Roma.
L’inserto femminile del Corriere della Sera “Io Donna” del 26 marzo 2011 ha pubblicato un racconto dal titolo “Sulle tracce del futuro di mio figlio”. Si tratta della storia del viaggio che una donna, una mamma come tante, compie verso una località del Belgio, alla ricerca delle cellule staminali del cordone ombelicale che al momento del parto aveva deciso di conservare. A mano a mano, nella narrazione, il viaggio reale si trasforma in un viaggio simbolico ed interiore, un susseguirsi di quelli che sono gli stati d’animo di una madre che si trova davanti alla scelta se conservare o meno il cordone ombelicale per il proprio figlio. L’ autrice ripercorre il momento della decisione e cerca di descrivere cosa si prova anche solo ad immaginare che ad “un esserino di tre chili e qualcosa … possano capitare cose terribili come un linfoma o una leucemia”. Silvia Ferreri, autrice del racconto, è una nota attrice ed il suo bel viso nel servizio fotografico trasmette immediatamente al lettore il senso di angoscia che simili riflessioni scatenano. Qualche mese dopo la raccolta del cordone si insinua nella mente della donna il dubbio che le cellule siano conservate in modo poco sicuro ed è allora che decide di partire, per assicurarsi con i propri occhi che il “santo Graal” che contiene “il futuro” del proprio figlio sia custodito in un luogo sicuro e sia affidato a mani esperte. E alla vista del “quinto silos della seconda fila, meno 186 gradi”, il suo cuore angosciato di madre si tranquillizza: finalmente ha la percezione di avere il pieno controllo della futura salute del figlio, e “anche davanti allo scenario più tragico” potrà alzarsi e dichiarare trionfante “noi abbiamo le staminali!”.
Sono un medico, ematologo, per anni ho seguito pazienti con linfomi e leucemie. Ho conosciuto tanti ragazzi malati; tanti, per fortuna, sono guariti. Da qualche mese mi occupo di donazione del sangue di cordone ombelicale. Le donne che scelgono di donare il cordone ombelicale del proprio figlio sanno di metterlo a disposizione di pazienti la cui vita è appesa al filo della speranza di un trapianto di cellule compatibili. Offrono “il santo Graal contenete il futuro del proprio figlio” a chi ne ha bisogno in quel momento, non ipoteticamente, non forse, non chissà, non un domani, ma ora, subito, il prima possibile, perché perfino tra due mesi potrebbe essere troppo tardi. Offrono la “coppa di Giuseppe d’Arimatea” a chi non ha nessun bisogno di immaginare cosa voglia dire “leucemia o linfoma” perché ne ha la piena consapevolezza, perché sono mesi che lo sperimenta sulla propria pelle o (peggio ancora) sulla pelle del proprio figlio. Mesi fatti di giorni e notti interminabili di disperazione, angoscia, dolore, ma anche di fiducia, attesa, speranza. Speranza di sentirsi dire che in qualche parte del mondo, non ha nessuna importanza il dove, esiste un donatore, un cordone compatibile. In pochi mesi, di donne che vengono a compiere questo gesto di generosità e solidarietà ne ho conosciute tante, ma a guardare quanti sono i pazienti che cercano un donatore compatibile sono purtroppo ancora poche. Sono donne con storie diverse, sono donne diverse per estrazione sociale, cultura, religione, nazionalità e perfino razza. I loro volti e i loro nomi rimangono anonimi e la ricompensa per il loro gesto la trovano semplicemente nel compierlo. Perché queste donne sono così diverse dalla protagonista del racconto pubblicato su “Io Donna”? Sono forse madri scellerate che svendono il bene più prezioso che esiste, la salute del proprio figlio? E in cambio di cosa? Cosa può portare una madre a fare scelte così opposte e in contraddizione tra loro? Con chi si consigliano le donne che donano il cordone? A chi si affidano per prendere questa decisione? E chi, al contrario, spinge le donne alla conservazione autologa, a tenere inutilmente da parte per il proprio figlio e solo per lui quel materiale prezioso che potrebbe strappare alla morte sicura un altro ragazzo? Giorni fa è venuta a trovarci Francesca, una giovane mamma all’ottavo mese di gravidanza del suo secondo figlio,: nella nostra Banca di sangue di cordone ombelicale conserveremo il cordone di questo bambino per la sua sorellina, che due anni fa ha avuto una leucemia. Perché Francesca si è fidata di noi e non di una delle decine di Banche estere per la conservazione autologa di cordone che negli ultimi anni sono spuntate come funghi? Eppure la protagonista del racconto dice che “il laboratorio in Belgio è un posto sicuro..loro sono Belgi, sono seri, queste cose le fanno per bene …”, quasi ad insinuare il dubbio che nelle Banche pubbliche italiane invece le cose si facciano alla carlona. Sì, è vero, in un caso come quello di Francesca la legge italiana permette di fare la conservazione gratuitamente, senza pagare i 3000 euro che costerebbe invece conservare il cordone all’estero. Tuttavia mi chiedo quale mamma, dopo aver vissuto quello che Francesca ha vissuto con la sua bambina, sceglierebbe solo in ragione del risparmio. E se Francesca, invece, così come la protagonista del nostro racconto, avesse messo da parte il cordone della sua bimba al momento della nascita? Non avrebbe potuto anche lei esultare dichiarando “noi abbiamo le staminali!”? In realtà, se anche Francesca l’avesse fatto, probabilmente nessun ematologo e nessun oncologo avrebbe ritenuto sicuro usare quel cordone per curare la leucemia della stessa bambina che lo aveva donato. E questo Francesca lo sa bene. Francesca sa bene che i medici che due anni fa hanno guarito la sua bambina sono gli stessi che lavorano nelle Banche di cordone pubbliche, come la nostra e come le altre 17 presenti in tutta Italia. Francesca sa bene che chi propaganda la conservazione autologa non ha molta conoscenza di malattie come le leucemie o altri tumori pediatrici, di come si curano, delle indicazioni differenti che hanno il trapianto autologo e quello allogenico, di quanto sia importante il numero di cellule re-infuse perché il trapianto abbia successo.
Nell’articolo di “Io Donna” la protagonista si avvolge quasi di un alone di eroismo, mentre, in preda all’angoscia per la salute di suo figlio Michelangelo, realizza un viaggio della speranza per potergli dire alla fine guardandolo negli occhi: per te ho fatto tutto quello che potevo. Quando Francesca è entrata nel mio studio quest’ articolo era sulla mia scrivania e non ha potuto fare a meno di notarlo. L’ha letto e mi ha detto francamente che le aveva provocato un senso di nausea. Ho convenuto con lei che era la stessa sensazione che avevo provato io. Nausea per tutta la finzione di cui è infarcito: la protagonista non ha neanche la più pallida idea di cos’è l’angoscia per un figlio malato; tantomeno può immaginare cosa sia “sperare” di trovare delle cellule staminali che possano salvargli la vita. Il racconto provoca nausea per come utilizza il canale del sentimento materno esclusivamente ai fini di una strategia pubblicitaria. Pubblicità di una banca privata belga, il cui nome viene ovviamente detto a chiare lettere nel racconto, che nel racconto infila le informazioni sui prezzi che pratica, sulle modalità per poter procedere alla conservazione autologa, che farnetica di pazienti trapiantati e di vite salvate: dove sono questi centri trapianto che utilizzano i cordoni conservati in strutture non afferenti al registro donatori? Per quali patologie sono stati eseguiti questi trapianti? Si trattava di leucemie o forse di alopecia o agenesia dentaria?
Ad un certo punto, come parlando a se stessa, la protagonista del nostro racconto spiega che in Italia la conservazione autologa non è consentita (omettendo di dire che questo accade in molti altri paesi europei) e afferma che si è obbligati a portare i “pezzi di figli” nelle banche del nord Europa, “esattamente il contrario di quello che succede con i soldi”. In realtà, ogni cordone che prende il volo per le banche estere è stato preceduto da un versamento di circa 3000 euro, indipendentemente dal fatto che possa essere contaminato, coagulato, ipocellulato. Inoltre, tra poco meno di 20 anni, a mano a mano che i contratti stipulati con le Banche estere scadranno, ci troveremo di fronte a migliaia di Michelangelo che dovranno decidere se rinnovarli per mantenere conservato il proprio cordone oppure no (chissà se i prezzi saranno popolari!). Non è difficile capire che, nell’ottica de “nella vita non si sa mai”, ci saranno altri volumi di denaro che si muoveranno verso il nord Europa. Magari a qualche ingenuo Michelangelo verrà lasciato credere che il cordone che non ha speso per sé stesso potrà essere un bene prezioso per i figli e per i nipoti, in barba a qualsiasi legge elementare sulla compatibilità trapiantologica.
Ma questo in fondo è il male minore. Il grande peccato di tutta questa storia è in tutto quel ben di Dio che poteva diventare vita per qualcuno e che invece sarà destinato all’inceneritore, né più né meno come un cordone mai raccolto. Ma oltre questo, dobbiamo amaramente riconoscere che abbiamo perso una buona occasione per diventare noi stessi migliori. Abbiamo perso l’occasione per poterci guardare allo specchio sapendo di aver fatto una scelta d’amore e non di convenienza, una scelta che non ha nulla di eroico perché è esattamente quello che vorremmo che qualcuno facesse per nostro figlio. Una scelta di consapevolezza sociale, di coscienza civile, in una parola di maturità individuale, il cui valore appare ancora più profondo perché maturata e realizzata nell’armonia della coppia genitoriale. Le donne anonime che vengono a donare il cordone vanno via serene e non trionfanti come la protagonista del nostro racconto. Serene nella certezza che è amando che si può insegnare ad amare, e che tutto questo aiuta a crescere bene. Ai loro bambini, quando potranno capire, mostreranno un piccolo attestato che li qualifica come donatori di cordone ombelicale, un piccolo regalo ricevuto dall’ ADISCO al momento della donazione. La nostra speranza per il futuro di questi ragazzi è che proprio da quel cartoncino arancione imparino a dare alla loro stessa vita e a quella di chi hanno vicino il valore che merita.
Le migliaia di Michelangelo avranno invece migliaia di ricevute di banco, dei buoni per riavere indietro quello che era un “pezzo” di loro proprietà. Se per caso a qualcuno di loro saltasse in mente di chiedere il perché di quella scelta irrazionale, molte donne potranno rispondere che si erano consigliate con il ginecologo dell’epoca. Questa è infatti la realtà italiana: qualsiasi studio, qualsiasi reparto, qualsiasi sala parto, qualsiasi congresso scientifico di ginecologia è tappezzato di materiale che pubblicizza una o più Banche private per la conservazione autologa (in barba ad ogni evidenza scientifica!), né la Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (al contrario di quelle Americana o Britannica) ha mai preso una chiara posizione (chissà perché) rispetto alla conservazione autologa del cordone. Personalmente però, spero che tra venti anni almeno una mamma abbia il coraggio di essere sincera e di spiegare a suo figlio che l’idea che si potesse ammalare gravemente le era talmente insopportabile da aver accettato di fare una cosa senza senso. E questo ovviamente non è un modo di amare, ma solo di placare le proprie nevrosi.
Grazie mille per aver affrontato l’argomento. Ogni volta che leggo qualcosa o vedo pubblicità occulte o meno di banche del sangue private, viene la nausea anche a me. Ho imparato col tempo a non aprire più i siti delle banche private, per salvaguardare la mia salute e per riuscire a dormire.
Paolo, mio figlio da due anni ha fatto il trapianto di midollo con cellule staminali da cordone ombelicale, oggi sta bene ed è vivo grazie a una donna che ha deciso di donare il sangue del cordone.
Quando è nato il mio piccolo, avevo fatto l’anamnesi per donare il suo sangue del cordone ombelicale, ma purtroppo al momento del parto avevo le acque tinte e non si è potuto procedere alla raccolta, perchè, giustamente le staminali contenute nel cordone devono essere il più sicure possibile.
Quando si è reso necessario ricercare cellule staminali per il trapianto del midollo osseo, ho ripensato alla mia mancata donazione, credendo erroneamente di aver “gettato” la salvezza di mio figlio. Una dottoressa della Clinica Universitaria di Padova, mi disse che se anche avessi avuto il sangue cordonale di Paolo, mai e poi mai lo avrebbero potuto usare per curarlo, in quanto se il suo sistema immunitario la prima volta non era stato in grado di combattere la leucemia, quasi di certo non ci sarebbe riuscito nemmeno la seconda. Per questo motivo c’era bisogno di un donatore.
Quando leggo gli opuscoli di queste banche private ( che paragono a delle truffe belle e buone) sto male a vedere come, facendo leva sui sentimenti delle future madri, promettono di conservare le staminali del proprio figlio per dargli un futuro nel momento in cui dovesse ammalarsi.
Ora faccio parte dell’ADISCO, ma mi stò rendendo sempre più conto che sembra di guidare col freno a mano tirato. Sarebbe tutto semplicissimo; basterebbe che ginecologi e ostetriche dessero le informazioni corrette alle future madri, le quali donerebbero certamente quasi tutte il sangue del cordone ombelicale. Purtroppo però i ginecologi e le ostetriche che lo fanno sono ancora troppo pochi!