di Valeria Ancione

https://www.corrieredellosport.it/news/sport-e-salute/2024/05/07-127141228/lo_sport_una_strategia_salvavita

“Un giorno sono crollato. Mentre correvo nei boschi. Mi sentivo giù e dopo una salita mi sono dovuto fermare. Sarò stanco, ho pensato. Poi sono inciampato e mi sono lussato un dito. Era un anno fa, era fine marzo. Stava per nascere il mio secondo figlio e qualcosa in me non andava bene. Fino a quel punto mi sentivo invincibile, poi però…”.

Eppure Gianluca aveva fatto tutti i controlli di routine che lo sport agonistico impone: era tutto a posto. Forse. Avesse “ascoltato” i sudori notturni che da due anni gli chiedevano attenzione, come una spia d’allarme sul suo corpo, non avrebbe passato mesi di inspiegabile stanchezza prima di scoprire di avere un tumore: linfoma di non Hodgkin, a grandi cellule B, una bestia che danneggia midollo osseo e anche cellule cerebrali. Per non farsi mancare niente.

LA PEDALATA DELLA SPERANZA. Ha la voce squillante, Gianluca D’Agostino, domenica scorsa, appena sceso dalla sua bicicletta al termine di 50 chilometri, dopo i 45 del giorno prima al seguito della Pedalata della Speranza partita da Torino destinazione Bari per testimoniare che l’attività fisica aiuta a salvarti la vita, un’impresa ideata e guidata dall’ematologo Roberto Laudati con l’associazione l’Arcobaleno della Speranza, alla seconda edizione.

Lui, l’invincibile, quello da triathlon, quello da Iron Man, quello che quasi non deve chiedere mai, ha fatto ciò che ha potuto: 45 chilometri tra andata e ritorno, anche perché il 15 maggio dovrà ricoverarsi per l’autotrapianto del midollo osseo, ultima tappa verso la salvezza finale. “Gli esami di marzo sono andati molto bene, la malattia è in remissione. Finita la terapia dopo cinque cicli di chemio, l’ultimo ad aprile mi ha del tutto buttato a terra per due settimane. Ma il mio corpo ha un’altra forza e ora sto benissimo. So che sono ancora nel ciclone. E’ una salita, il tratto più ripido che affronterò nel modo migliore. Sarà dura, ma sono sulla buona strada. Promuovere la Pedalata della Speranza mi ha fatto bene”. Anche se è dovuto tornare a casa, non è del tutto uscito dal gruppo, lo segue a distanza macinando i suoi chilometri, e poi in chat, restando collegato alla Pedalata della Speranza inviando informazioni di percorso e di meteo. Condivisione e partecipazione sono gli effetti belli e collaterali di una cattiva malattia.

PAURA E LACRIME. Oltre a Lorenzo, Gianluca ha anche una bambina di dieci anni, Ginevra. Il primo pensiero per un genitore che si ammala è per i propri figli. Lo ricorda bene il momento della paura, e mentre lo ricorda gli risale, si commuove e chiede scusa. Le lacrime però non devono scusarsi, quando rimontano la corrente rompono gli argini senza permesso: vanno ascoltate ancorché asciugate. In quella commozione c’è la storia recente di un giovane uomo di 44 anni, e produce un silenzio che basta più di qualsiasi parola. Da lì a noi viaggia ancora impettita la paura di un padre che proprio a quei figli sa di doversi aggrappare per risalire, non di certo per farli affondare con sé. Al contrario. Infatti lui di affondare non ha proprio intenzione, anche se a nuotare non è bravo, benché sia un “marinaio” in quanto nato e cresciuto su un’isola. Viene dalla Sicilia, da Taormina, per dare un riferimento noto a tutto il mondo, in realtà è di un comune lì vicino, di 400 persone, Gallodoro si chiama, poi nel ’99 si è trasferito al Nord. “Da noi ti buttano a mare quando sei bambino, impari a stare a galla, mica a nuotare”. E a galla lui ci sa stare benissimo. “Il pensiero dei miei figli è stato il più doloroso, il maschio per di più nasceva mentre mi ammalavo. E che ho fatto…  Ho pianto. Ho pianto tanto”.

Prima di scoprire cosa avesse sono trascorsi diversi mesi, tanti, troppi, rischiando pure la possibilità di salvarsi. “Dopo quel crollo nei boschi ho fatto le analisi e avevo tutti i valori sballati. Ho iniziato gli accertamenti privatamente. Era risultata una forte anemia, e siamo andati avanti così. Ho dovuto interrompere con la bici e la corsa. Ero così stanco… Poi ho trascorso un mese d’estate in montagna e mi sono ripreso”.

NEMMENO 200 METRI A PIEDI. Ma la malattia si fa bastarda, più di quanto non lo sia per sua natura, prende in giro, ti distrae, ti illude, ti inganna e intanto cammina. Convinto che fosse tutto passato, ecco un altro crollo con l’aggravante della vista annebbiata. “Non ci vedevo, e a quel punto sono finito in ospedale. Un mese e mezzo per avere il verdetto del tumore. Sono rimasto ricoverato fino a novembre. Sempre a letto: mi era impossibile anche percorrere 200 metri a piedi. Ci si è messa pure un’infezione in seguito alla puntura fatta al midollo osseo”. Neanche duecento metri camminando per uno che correva sa di anticamera della fine.

A quel punto servono la testa e il fisico, entrambi devono essere bestiali. Solo che la testa è birichina, ti dice alzati e cammina e poi anche ma lascia perdere, non ce la fai. Non ti muovere. E lì è il click per Gianluca che a “non farcela” non ci sa stare e capisce che è dal fisico già violato che deve ricominciare. E contro i bla-bla della testa dà gas al suo motore: il corpo. “Non riuscivo a leggere e fare niente, ma sono uno sportivo, mi sono detto, forse posso affrontare la malattia con lo sport, che già in passato mi ha risollevato nei momenti difficili della vita. Mi aiuta a non pensare e ad andare avanti. Io sono uno da resistenza, faticare mi fa felice. Ho cercato il modo e ho trovato Roberto Laudati, che mi ha detto: Vediamo cosa possiamo fare”. Anche se pratico di salite ardite e sgobbate, anche se ama certo tipo di sfide e lo sport in solitaria, Gianluca sa che la malattia non è una sfida. Capisce piuttosto che deve correre più veloce, superarla fino a seminarla, a non vederla più. E per questo deve allenarsi.

UN DOTTORE SPECIALE. Il dottor Laudati conosce bene quel tumore, non solo perché l’ha studiato, ma perché l’ha indossato. E quando una cosa storta si indossa, si cerca il modo di farsela stare minimamente comoda o di liberarsene per sempre. Laudati soprattutto conosce la paura, l’impotenza e poi quel sentimento di riscatto e di reazione alla paura stessa che o ti blocca immobile a farti sbranare o ti fa pedalare. L’ematologo per sé, due anni prima, aveva scelto di pedalare e Gianluca ha creduto che quella strategia fosse giusta anche per lui. “Quando sono migliorato l’ho richiamato. Roberto mi ha aiutato tanto, mi anticipava tutto quello che mi sarebbe successo, per quanto ogni persona reagisce in modo diverso, mi informava e io sapevo cosa aspettarmi. A dicembre l’emoglobina era salita a 12, a quel punto mi ha detto: ora pedala. Ho iniziato con la bici sui rulli in casa, senza uscire, anche per non rischiare avendo i globuli bianchi bassi. Dalla prima mezzora fino alla prima uscita fuori con l’aria addosso, che emozione! Il fisico si è ripreso. Non mi sento più invincibile come prima, però ho ricominciato anche a lavorare dopo otto mesi. E’ stato bello, dopo essere sparito all’improvviso, perché peggioravo in modo drastico, il tumore è stato un crescendo”.

SORRIDERE DI NUOVO. Il piccolo Lorenzo intanto gattona e interagisce, Gianluca sa di essersi perso qualcosa e pure di aver fatto mancare qualcosa ai suoi bambini. E non solo. Anche su Chiara l’incubo è sceso come un velo, la neomamma è passata in un attimo dalla felicità di una nuova vita che entrava in casa al terrore della morte, come se le gioie si dovessero pagare a prezzo altissimo. Diciamolo, anche familiari dei pazienti oncologici mettono in stand by la propria vita. “Per mia moglie è stata dura. All’inizio ero convinto che fosse una cosa passeggera, vai a pensare che è tumore! Il bambino ne ha sofferto. Quando sono tornato a casa dopo tre mesi di ospedale piangeva tutte le noti. Ora va meglio. Peccato che debba allontanarmi di nuovo per il trapianto. Ma, ci rifaremo. Oggi (domenica, ndr) tornando dalla pedalata ho detto a Chiara: vai a correre, a Lorenzo penso io. E’ rientrata col sorriso”.

Non stupiamoci, fare sport fa montare il sorriso, il buon umore. Non è tanto per dire. Chiara lo sa e per questo ha sostenuto Gianluca nella sua terapia sportiva. “Stai attento, mi dice, quando esco. Ma se non salgo in bici sto peggio, senza pedalare non riesco. Tutti si stupiscono che vada in giro da solo, ma non sono uno sprovveduto, ho gli strumenti di controllo. E aggiungere un pezzetto alla volta e mi aiuta”. Un pezzetto è un metro, un chilometro, tanti chilometri che mettono distanza tra lui e la malattia.

E’ TEMPO DEI “VOGLIO”. La sua voce allegra, il suo racconto, lacrime comprese, sanno di gioia, di vita, di futuro. Non c’è tempo per smettere di sognare, che poi vuol dire fare progetti, guardare oltre la fessura, scansare l’ostacolo e scorgere ancora lo spazio immenso che è la vita. “Vorremmo andare a vivere in una casa sul mare. No, in Sicilia no, non posso allontanarmi troppo da Ginevra. Ci vado una volta l’anno, ma se salta non è un problema. Non sono come mia sorella che se non torna a casa si sente male”.

Non ha il mal di Sicilia, insomma, e poi adesso qui c’è solo da pensare al bene. “Ho sempre detto oggi ci sono, domani chissà… Mi sa che me la sono tirata. Ma ora che so davvero che cosa vuol dire, appena finisce tutto voglio godermi la famiglia, fare un viaggio in bici, lavorare meglio ma non di più. E adesso, scusate, Chiara e Lorenzo mi aspettano per una passeggiata”. Rigorosamente in bicicletta, col piccoletto nel seggiolino e il suo papà, l’invincibile, a pedalare, perché ogni pedalata fa distanza, non fuga, i vigliacchi fuggono lui no: solo distanza dalla malattia fino a non vederla più, fino a essere irraggiungibile. Buen camino, Gianluca.

La Pedalata della Speranza ha come obiettivo quello di testimoniare gli effetti benefici dell’attività sportiva per i malati onco-ematologici, e informare pazienti, familiari e sanitari. Potete seguire le tappe di avvinciamento a Bari sul sito

https://www.arcobalenodellasperanza.net/speranza/pedalata-arcobaleno-della-speranza-si-puo-battere-il-cancro-con-lo-sport-2/

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