Durante il ricovero a cavallo tra febbraio e marzo scorsi, in reparto eravamo ricoverate in molte donne tutte anno più anno meno coetanee. Ovviamente condividevamo le stanze a coppie, ma spesso la mattina all’ora del tè ci incontravamo nella saletta dei pazienti per scambiare due chiacchiere e per fare colazione insieme.
Così abbiamo fatto amicizia ed abbiamo cominciato a confrontarsi sulle nostre vite precedenti alla malattia, sulle nostre speranze e sul modo in cui la malattia ci stava cambiando e soprattutto stava inesorabilmente modificando la nostra vita ed il nostro carattere.
Ricordo quelle mattine con grande affetto e non voglio fare bilanci pensando a quante di noi siano ancora vive ed a quante, invece, non ce l’hanno fatta lasciando però nei nostri cuori un vuoto incolmabile.
Ci sedevamo intorno al tavolo dove gli addetti al vitto lasciano le caraffe con il tè e qualche pacchetto di fette biscottate e marmellata, portavamo anche le nostre confezioni di frollini monodose che ci era permesso mangiare e consumavamo la colazione insieme cercando di non pensare che eravamo chiuse in ospedale, ma facendo un po’ finta di essere in una sala di un albergo…
La conversazione diveniva subito piacevole nonostante ciascuna di noi si portava dietro il suo albero al quale erano appese le nostre terapie e forse il rumore delle macchinette per infusione sovrastava quasi le nostre voci rese flebili dalla malattia e dalla chemioterapia. Spesso i discorsi correvano involontari verso i figli, per chi di noi ne aveva. Altre volte si parlava dei nostri lavori che avevamo lasciato con dispiacere, o degli studi universitari interrotti contro la nostra volontà.
Ben presto diventammo "amiche" e cominciammo a farci delle visite nelle stanze per chiacchierare un po’ quando la solitudine si faceva troppo dura. Ciò avveniva soprattutto a metà mattina e la sera dopo cena ma anche all’ora del tè pomeridiano. Le riunioni si svolgevano, in questo caso, nelle diverse stanze e spesso si ascoltava un po’ di musica per simulare un normale incontro tra amiche.
Non dimenticherò mai il pomeriggio del 16 febbraio, quando prese dalla malinconia di un ricovero ancora agli inizi e consapevoli che sarebbe durato ancora a lungo, con Stella organizzammo un piccolo party nella nostra stanza: musica a palla, amiche ad ascoltarla con noi, qualche risata per sfidare la vita e la malattia, medici ed infermieri divertiti quanto noi, la curiosità dei pazienti uomini che non ebbero il coraggio di entrare, ma che sostarono sulla porta sorridendo… Insomma un bel traffico di gente per un reparto sterile, incuriosita dal baccano ma divertita quanto e più di noi.
Un rammarico: molte di quelle persone non potranno più partecipare alle nostre riunioni…
Ricordo che ascoltammo e cantammo a squarciagola la canzone di Gianna Nannini che fa più o meno così: "Sei nell’anima e lì ti lascio per sempre, sei in ogni parte di me…". Ebbene per molti di quei compagni di avventura non ci sono parole per descrivere il vuoto che ci hanno lasciato. Forse avevano ragione gli infermieri quando ci consigliavano di non affezionarci ma per me è possibile trovare spunti umani positivi anche in frangenti della vita che positivi non sono…
Un saluto a Simona, Mirna, Grazia, Valentina, Barbara, Milo… e tutti gli altri che ci guardano dal Cielo e per i quali continueremo a combattere ed a vivere ogni giorno anche un po’ per loro.