La Pedalata della Speranza raccontata da Valeria Ancione del Corriere dello Sport

E’ partita oggi una nuova Pedalata della Speranza

11 Maggio 2024

L’ematologo Roberto Laudati sale di nuovo in sella, un anno dopo. Questa volta andrà da Torino a Bari. “Nel 2021 ho ricevuto la diagnosi che ha cambiato la mia vita, da medico mi sentivo invulnerabile, passare dal curare all’essere curato cambia il punto di vista”. Il messaggio pedalando è che l’attività fisica aiuta la cura e smorza gli effetti collaterali della chemioterapia

Ci sono ponti e ponti. Ponti inutili e ponti necessari. Quello di Roberto Laudati con la sua Pedalata della Speranza, è un ponte che unisce, che porta da una sponda all’altra una prova tangibile di speranza, una soluzione di salvezza cheparte da se stessi, soprattutto quando il corpo malato domina la testa: un corpo bisognoso di medicine, sì, ma anche di una energia che può trovare solo dentro di sé per non soccombere.

PASSARE DALL’ALTRA PARTE. Laudati, medico ematologo, si è ammalato del linfoma non Hodgkin e la vita gli si è rivoltata contro. C’era da lasciarsi andare o trovare una soluzione. Nonostante l’avvilimento iniziale per essere stato catapultato dall’altra parte, non più quello che somministrava le cure, ma quello che le subiva, Roberto ha ascoltato il suo corpo. “Nel dicembre 2021 ho ricevuto la diagnosi che ha cambiato la mia vita, da medico mi sentivo invulnerabile – racconta il medico – passare dal curare all’essere curato cambia del tutto il proprio punto di vista, ero io quello che dava indicazioni e prescrizioni e mi sono ritrovato a dover attraversare, da protagonista, il percorso diagnostico e di cura. Ma ho deciso di non lasciarmi abbattere: ho iniziato un programma di attivita? fisica che mi ha notevolmente aiutato nel contrastare gli effetti collaterali della terapia e, spero, la malattia stessa”.

L’anno scorso è salito in sella e ha pedalato da Torino fino a Roma con l’obiettivo di parlare dell’importanza dell’attivita? fisica per migliorare la qualita? di vita dei pazienti onco-ematologici e sensibilizzare medici, operatori sanitari, pazienti. Così questa mattina è ripartito per una nuova avventura e per farsi ponte superando Roma, andando a Sud, fino in Puglia. “Oggi ho 70 anni, rispetto alla passata edizione non è cambiato molto. Certo un anno in più ha un peso. Mi sono sempre allenato però, nonostante gli impegni familiari. Però sto bene. Anche gli ultimi controlli sono stati tutti negativi, adesso saranno diradati nel tempo. E nel frattempo ho conosciuto tanti altri pazienti. Uno è qui con me, Gianluca, di Milano, ha appena finito un ciclo di chemioterapia, e nonostante debba affrontare un altro trapianto il 15 maggio è pronto a pedalare. Proverà a fare 20-30 chilometri con noi. Siamo allegri e abbiamo bevuto un po’ di vino. Con me c’è anche Giovanni che di anni ne ha 77”.

LAUDATI, UN PONTE DI SPERANZA. Questo è Laudati, lui è un ponte di speranza. Lui che ha curato i bambini e che quando si è ammalato si è dovuto rimettere a “studiare” per capire la sua malattia, perché Hodgkin è una cosa, non Hodgkin un’altra, e si è inventato un altro sé. Ha pedalato in casa durante la chemio, perché a uscire di inverno non ce la faceva. Ha creduto al programma e al fatto che la testa non può fare tutto da sola e che testa e corpo vanno avanti assieme. Ha pedalato anche quando non ne aveva forza e voglia (per quanto la chemio ti mette al tappeto). Laudati sa cosa vuol dire sperare, non perché ha studiato, ma perché ha provato sulla sua pelle tutto: la paura, la fatica, i dolori. Sperare non è un’illusione. Curarsi da un tumore non richiede coraggio né guerrieri, come siamo soliti sentire, richiede ascolto del proprio corpo, attenzione, volontà e fiducia. Anche buon umore e lo sport si sa, anche questo fa. Ecco tutti i pilastri del ponte che Laudati va piantando da Nord a Sud.

Questa mattina  il dottore è partito (nella foto è il primo) dall’Ematologia pediatrica di Torino in sella alla sua bici a pedalata assistita, per raggiungere Bari l’11 maggio, Ematologia IRCCS Giovanni Paolo II. La “Pedalata Arcobaleno della Speranza” prevede un viaggio in 8 tappe e oltre 1100 chilometri.

MALATTIA E SPORT.  In Italia ogni anno si ammalano circa 30.000 persone di leucemia, linfoma e mieloma. E’ importante far conoscere ai pazienti e alle loro famiglie che l’attività fisica agisce come una medicina, che può migliorare la loro vita sotto tanti punti di vista.

Le diagnosi leucemia, linfoma e mieloma sono in aumento a causa dell’invecchiamento generale della popolazione ma le speranze di vita sono maggiori: il 40-50% dei malati può addirittura aspirare alla guarigione. Inoltre, i notevoli progressi della medicina hanno fatto sì che molte delle malattie considerate mortali si siano trasformate in croniche. Complessivamente in Italia, circa 2 milioni e 250mila gli italiani che vivono con una diagnosi di tumore (fonte AIOM).

“L’attività motoria, anche per chi si sottopone alla chemioterapia, è fondamentale non solo per migliorare la qualità di vita dei pazienti ma anche per prevenire gli effetti collaterali delle terapie oncologiche a lungo termine – Un’attività fisica personalizzata sulle caratteristiche del paziente, che nelle prime 8-12 settimane deve essere seguito da un “allenatore esperto”, riesce a restituire buona parte della perdita di efficienza fisica, psicologica e mentale e pone le basi per la prevenzione di altre complicazioni, spiega la dottoressa Maria Christina Cox, ematologa del Policlinico Tor Vergata di Roma e docente di esercizio fisico adattato nei pazienti Oncologici, presso l’Universita? Telematica San Raffaele.

Numerosi studi hanno dimostrato che le persone che hanno avuto un tumore e si sono mantenute fisicamente attive manifestano una maggiore aderenza alle terapie, presentano un minor rischio di recidive e un aumento della sopravvivenza rispetto alle persone inattive.

L’ARCOBALENO DELLA SPERANZA. “La pedalata ha un duplice obiettivo – afferma Maria Stella Marchetti, presidente dell’associazione L’Arcobaleno della Speranza Odv – Sensibilizzare medici, operatori sanitari e pazienti sull’importanza dell’attività fisica e raccogliere fondi per finanziare due borse di studio destinate a esperti di scienze motorie per realizzare un progetto di esercizio fisico adattato ai pazienti onco-ematologici. Sara? possibile seguire la manifestazione sui canali social dell’Associazione. E sul sito dell’Associazione stessa fare le donazioni.

Ci sono ponti e ponti. Ponti inutili e ponti necessari come questo di Roberto e dell’Arcobaleno della Speranza: il ponte della solidarietà.

La Pedalata della Speranza a sorpresa a Pisa

Il gruppo guidato dal dottor Laudati, partito da Torino, non è arrivato a Firenze come da programma. Oggi ripartirà alla volta di Perugia per la terza tappa, con destinazione finale Bari
La carovana della Pedalata della Speranza a sorpresa fa sosta, dopo 136 chilometri, a Pisa. Doveva essere Firenze la seconda tappa dei ciclisti partiti da Torino con destinazione Bari. Meteo a favore, sole e buon cibo nella sosta hanno accompagnato la discesa verso Sud. Alla testa del gruppo il dottor Roberto Laudati, ematologo, che quando si è ammalato della malattia che curava (un linfoma di non Hodgkin), passato lo smarrimento, si è messo a pedalare e alla chemioterapia e alla paura ha affiancato l’attività fisica, un ottimo sostegno per la terapia stessa e per lo spirito. Dopo quella dell’anno scorso, anche in questa nuova impresa, che lo porta ad attraversare l’Italia con l’associazione l’Arcobaleno della Speranza che si occupa di malati onco-ematologici, l’obiettivo non cambia: informare i malati di tumore, i familiari, i medici e tutti i sanitari dell’importanza dello sport per i pazienti. Fa bene allo spirito, ma soprattutto al corpo che si mantiene in condizioni ideali per affrontare le pesantissime cure e inoltre attutisce gli effetti collaterali della chemioterapia. “Tutto a posto anche oggi – assicura Laudati – niente patimenti, niente forature. Domani, dopo una sosta a Firenze, nel pomeriggio ci incamminiamo verso Perugia”.

 

 

La pioggia non ferma la Pedalata della Speranza

Il gruppo in bicicletta guidato dal dottor Laudati, partito da Torino con destinazione Bari, ha fatto tappa nelle Marche

Neanche la pioggia ferma la Pedalata della Speranza. Il gruppo in bicicletta, con a capo il dottor Roberto Laudati, partito da Torino con destinazione Bari, questa mattina ha lasciato la Toscana, dopo una visita a Firenze all’Ospedale Careggi, per arrivare a fine pedalata a Camerino, nelle Marche. “Se tutto va bene – ha detto Laudati – abbiamo recuperato la tappa e reso più umana quella di domani. Così dovremmo arrivare a Bari sabato”. Oggi si riparte, sperando in un meteo migliore, previsto  vento a favore ma le salite sono tante.

Lo sport, una strategia salvavita

Questa è la storia di Gianluca che alle terapie di protocollo per curare un linfoma di non Hodgkin ha associato l’attività motoria, tornando a pedalare. “Lo sport mi ha aiutato in diversi momenti brutti della vita, ho pensato che anche durante la chemio fosse la cosa giusta. Uscire in bicicletta mi fa stare meglio”. Anche lui ha fatto qualche chilometro con la Pedalata della Speranza del dottor Laudati

“Un giorno sono crollato. Mentre correvo nei boschi. Mi sentivo giù e dopo una salita mi sono dovuto fermare. Sarò stanco, ho pensato. Poi sono inciampato e mi sono lussato un dito. Era un anno fa, era fine marzo. Stava per nascere il mio secondo figlio e qualcosa in me non andava bene. Fino a quel punto mi sentivo invincibile, poi però...”.

Eppure Gianluca aveva fatto tutti i controlli di routine che lo sport agonistico impone: era tutto a posto. Forse. Avesse “ascoltato” i sudori notturni che da due anni gli chiedevano attenzione, come una spia d’allarme sul suo corpo, non avrebbe passato mesi di inspiegabile stanchezza prima di scoprire di avere un tumore: linfoma di non Hodgkin, a grandi cellule B, una bestia che danneggia midollo osseo e anche cellule cerebrali. Per non farsi mancare niente.

LA PEDALATA DELLA SPERANZA. Ha la voce squillante, Gianluca D’Agostino, domenica scorsa, appena sceso dalla sua bicicletta al termine di 50 chilometri, dopo i 45 del giorno prima al seguito della Pedalata della Speranza partita da Torino destinazione Bari per testimoniare che l’attività fisica aiuta a salvarti la vita, un’impresa ideata e guidata dall’ematologo Roberto Laudati con l’associazione l’Arcobaleno della Speranza, alla seconda edizione.

Lui, l’invincibile, quello da triathlon, quello da Iron Man, quello che quasi non deve chiedere mai, ha fatto ciò che ha potuto: 45 chilometri tra andata e ritorno, anche perché il 15 maggio dovrà ricoverarsi per l’autotrapianto del midollo osseo, ultima tappa verso la salvezza finale. “Gli esami di marzo sono andati molto bene, la malattia è in remissione. Finita la terapia dopo cinque cicli di chemio, l’ultimo ad aprile mi ha del tutto buttato a terra per due settimane. Ma il mio corpo ha un’altra forza e ora sto benissimo. So che sono ancora nel ciclone. E’ una salita, il tratto più ripido che affronterò nel modo migliore. Sarà dura, ma sono sulla buona strada. Promuovere la Pedalata della Speranza mi ha fatto bene”. Anche se è dovuto tornare a casa, non è del tutto uscito dal gruppo, lo segue a distanza macinando i suoi chilometri, e poi in chat, restando collegato alla Pedalata della Speranza inviando informazioni di percorso e di meteo. Condivisione e partecipazione sono gli effetti belli e collaterali di una cattiva malattia.

PAURA E LACRIME. Oltre a Lorenzo, Gianluca ha anche una bambina di dieci anni, Ginevra. Il primo pensiero per un genitore che si ammala è per i propri figli. Lo ricorda bene il momento della paura, e mentre lo ricorda gli risale, si commuove e chiede scusa. Le lacrime però non devono scusarsi, quando rimontano la corrente rompono gli argini senza permesso: vanno ascoltate ancorché asciugate. In quella commozione c’è la storia recente di un giovane uomo di 44 anni, e produce un silenzio che basta più di qualsiasi parola. Da lì a noi viaggia ancora impettita la paura di un padre che proprio a quei figli sa di doversi aggrappare per risalire, non di certo per farli affondare con sé. Al contrario. Infatti lui di affondare non ha proprio intenzione, anche se a nuotare non è bravo, benché sia un “marinaio” in quanto nato e cresciuto su un’isola. Viene dalla Sicilia, da Taormina, per dare un riferimento noto a tutto il mondo, in realtà è di un comune lì vicino, di 400 persone, Gallodoro si chiama, poi nel ’99 si è trasferito al Nord. “Da noi ti buttano a mare quando sei bambino, impari a stare a galla, mica a nuotare”. E a galla lui ci sa stare benissimo. “Il pensiero dei miei figli è stato il più doloroso, il maschio per di più nasceva mentre mi ammalavo. E che ho fatto…  Ho pianto. Ho pianto tanto”.

Prima di scoprire cosa avesse sono trascorsi diversi mesi, tanti, troppi, rischiando pure la possibilità di salvarsi. “Dopo quel crollo nei boschi ho fatto le analisi e avevo tutti i valori sballati. Ho iniziato gli accertamenti privatamente. Era risultata una forte anemia, e siamo andati avanti così. Ho dovuto interrompere con la bici e la corsa. Ero così stanco… Poi ho trascorso un mese d’estate in montagna e mi sono ripreso”.

NEMMENO 200 METRI A PIEDI. Ma la malattia si fa bastarda, più di quanto non lo sia per sua natura, prende in giro, ti distrae, ti illude, ti inganna e intanto cammina. Convinto che fosse tutto passato, ecco un altro crollo con l’aggravante della vista annebbiata. “Non ci vedevo, e a quel punto sono finito in ospedale. Un mese e mezzo per avere il verdetto del tumore. Sono rimasto ricoverato fino a novembre. Sempre a letto: mi era impossibile anche percorrere 200 metri a piedi. Ci si è messa pure un’infezione in seguito alla puntura fatta al midollo osseo”. Neanche duecento metri camminando per uno che correva sa di anticamera della fine.

A quel punto servono la testa e il fisico, entrambi devono essere bestiali. Solo che la testa è birichina, ti dice alzati e cammina e poi anche ma lascia perdere, non ce la fai. Non ti muovere. E lì è il click per Gianluca che a “non farcela” non ci sa stare e capisce che è dal fisico già violato che deve ricominciare. E contro i bla-bla della testa dà gas al suo motore: il corpo. “Non riuscivo a leggere e fare niente, ma sono uno sportivo, mi sono detto, forse posso affrontare la malattia con lo sport, che già in passato mi ha risollevato nei momenti difficili della vita. Mi aiuta a non pensare e ad andare avanti. Io sono uno da resistenza, faticare mi fa felice. Ho cercato il modo e ho trovato Roberto Laudati, che mi ha detto: Vediamo cosa possiamo fare”. Anche se pratico di salite ardite e sgobbate, anche se ama certo tipo di sfide e lo sport in solitaria, Gianluca sa che la malattia non è una sfida. Capisce piuttosto che deve correre più veloce, superarla fino a seminarla, a non vederla più. E per questo deve allenarsi.

UN DOTTORE SPECIALE. Il dottor Laudati conosce bene quel tumore, non solo perché l’ha studiato, ma perché l’ha indossato. E quando una cosa storta si indossa, si cerca il modo di farsela stare minimamente comoda o di liberarsene per sempre. Laudati soprattutto conosce la paura, l’impotenza e poi quel sentimento di riscatto e di reazione alla paura stessa che o ti blocca immobile a farti sbranare o ti fa pedalare. L’ematologo per sé, due anni prima, aveva scelto di pedalare e Gianluca ha creduto che quella strategia fosse giusta anche per lui. “Quando sono migliorato l’ho richiamato. Roberto mi ha aiutato tanto, mi anticipava tutto quello che mi sarebbe successo, per quanto ogni persona reagisce in modo diverso, mi informava e io sapevo cosa aspettarmi. A dicembre l’emoglobina era salita a 12, a quel punto mi ha detto: ora pedala. Ho iniziato con la bici sui rulli in casa, senza uscire, anche per non rischiare avendo i globuli bianchi bassi. Dalla prima mezzora fino alla prima uscita fuori con l’aria addosso, che emozione! Il fisico si è ripreso. Non mi sento più invincibile come prima, però ho ricominciato anche a lavorare dopo otto mesi. E’ stato bello, dopo essere sparito all’improvviso, perché peggioravo in modo drastico, il tumore è stato un crescendo”.

SORRIDERE DI NUOVO. Il piccolo Lorenzo intanto gattona e interagisce, Gianluca sa di essersi perso qualcosa e pure di aver fatto mancare qualcosa ai suoi bambini. E non solo. Anche su Chiara l’incubo è sceso come un velo, la neomamma è passata in un attimo dalla felicità di una nuova vita che entrava in casa al terrore della morte, come se le gioie si dovessero pagare a prezzo altissimo. Diciamolo, anche familiari dei pazienti oncologici mettono in stand by la propria vita. “Per mia moglie è stata dura. All’inizio ero convinto che fosse una cosa passeggera, vai a pensare che è tumore! Il bambino ne ha sofferto. Quando sono tornato a casa dopo tre mesi di ospedale piangeva tutte le noti. Ora va meglio. Peccato che debba allontanarmi di nuovo per il trapianto. Ma, ci rifaremo. Oggi (domenica, ndr) tornando dalla pedalata ho detto a Chiara: vai a correre, a Lorenzo penso io. E’ rientrata col sorriso”.

Non stupiamoci, fare sport fa montare il sorriso, il buon umore. Non è tanto per dire. Chiara lo sa e per questo ha sostenuto Gianluca nella sua terapia sportiva. “Stai attento, mi dice, quando esco. Ma se non salgo in bici sto peggio, senza pedalare non riesco. Tutti si stupiscono che vada in giro da solo, ma non sono uno sprovveduto, ho gli strumenti di controllo. E aggiungere un pezzetto alla volta e mi aiuta”. Un pezzetto è un metro, un chilometro, tanti chilometri che mettono distanza tra lui e la malattia.

E’ TEMPO DEI “VOGLIO”. La sua voce allegra, il suo racconto, lacrime comprese, sanno di gioia, di vita, di futuro. Non c’è tempo per smettere di sognare, che poi vuol dire fare progetti, guardare oltre la fessura, scansare l’ostacolo e scorgere ancora lo spazio immenso che è la vita. “Vorremmo andare a vivere in una casa sul mare. No, in Sicilia no, non posso allontanarmi troppo da Ginevra. Ci vado una volta l’anno, ma se salta non è un problema. Non sono come mia sorella che se non torna a casa si sente male”.

Non ha il mal di Sicilia, insomma, e poi adesso qui c’è solo da pensare al bene. “Ho sempre detto oggi ci sono, domani chissà… Mi sa che me la sono tirata. Ma ora che so davvero che cosa vuol dire, appena finisce tutto voglio godermi la famiglia, fare un viaggio in bici, lavorare meglio ma non di più. E adesso, scusate, Chiara e Lorenzo mi aspettano per una passeggiata”. Rigorosamente in bicicletta, col piccoletto nel seggiolino e il suo papà, l’invincibile, a pedalare, perché ogni pedalata fa distanza, non fuga, i vigliacchi fuggono lui no: solo distanza dalla malattia fino a non vederla più, fino a essere irraggiungibile. Buen camino,Gianluca.

La Pedalata della Speranza ha come obiettivo quello di testimoniare gli effetti benefici dell’attività sportiva per i malati onco-ematologici, e informare pazienti, familiari e sanitari.

La seconda edizione della Pedalata della Speranza fa seguito a quella dell’anno scorso, con lo stesso obiettivo: testimoniare l’importanza dell’attività sportiva durante la terapia su pazienti onco-ematologici. Aiuta lo spirito ma soprattutto il corpo ad affrontare le pesanti cure, attenuando gli effetti collaterali della chemioterapia. Il dottor Laudati, ematologo, 70 anni, a cui due anni fa è stato diagnosticato un linfoma non Hodgkin, con l’Associazione l’Arcobaleno della Speranza, attraversa l’Italia per sensibilizzare pazienti, familiari e sanitari tutti sulla pratica sportiva in fase di cura, portando avanti la sua personale esperienza.

La pedalata della Speranza al traguardo già pensa alla prossima

Il gruppo guidato dal dottor Laudati, partito da Torino, dopo più di mille chilometri in bicicletta, è giunto ieri a Bari. “Spero che il messaggio sull’utilità della attività fisica arrivi a chi ne ha bisogno. Se si farà la terza edizione, vorrei coinvolgere di più i reparti degli ospedali e portare con me Gianluca”. L’esperienza di Laura: “Pedalando ho imparato che insieme tutto è possibile.

Dopo 1150 chilometri da Torino a Bari, si è conlcusa la Pedalata della Speranza, ideata dal dottor Roberto Laudati con l’associazione L’Arcobaleno della Speranza che si occupa di pazienti onco-ematologici. Alla sua seconda edizione, nel 2023 si era fermata a Roma, ha avuto gli stessi obiettivi della prima: testimoniare l’importanza dell’attività fisica durante la chemioterapia e raccogliere fondi per finanziare borse di studio dell’Arcobaleno della Speranza (a cui è possibile fare donazioni anche a pedalata terminata, andando sul sito dell’associazione stessa)

IL CERCHIO PERFETTO. Il dottor Laudati è un ematologo, 70 anni, ma è anche stato colpito da un linfoma di non Hodgkin, pertanto conosce a fondo la malattia e anche gli effetti collaterali della cura. Lo sport non è la soluzione al tumore, non fraintendete, né chi lo fa si salva chi non lo fa non si salva…, ma è un importante compagno di viaggio lungo il percorso della terapia, perché aiuta il corpo a reagire meglio alle cure, rendendolo più forte, e soprattutto attenua gli effetti collaterali della chemioterapia, impedendo quindi al fisico di abbattersi e non poter ricevere le cure stesse. Insomma, farebbe parte di un cerchio perfetto: terapia, corpo, attività fisica, mente uniti nel cammino di cura. L’impegno di Laudati e dei suoi fantastici “gregari” – che lo hanno accompagnato per tutto il tragitto, o che sono partiti e poi tornati, o che si sono aggiunti strada facendo, o che lo hanno accolto in Puglia – è stato quello di sensibilizzare pazienti, familiari e sanitari tutti sul programma di attività sportiva durante la terapia.

Partiti col sole sabato scorso, quelli della Pedalata della Speranza, si sono ritrovati ad affrontare tanti chilometri in centro Italia sotto la pioggia, per poi sbarcare in Puglia con un sole estivo. La soddisfazione finale è stata tanta. La gioia di chiudere un’impresa e pensare alla prossima non è mancata.

LE EMOZIONI DI LAUDATI. “Come l’anno scorso è stata una pedalata “tutti per uno uno per tutti” – ha raccontato Roberto Laudati  – In serata stessa (ieri ndr)  ci siamo infilati in furgone per il ritorno a Torino. Quando abbiamo lasciato Giovanni (il “gregario” di 77 anni che la discesa da Nord a Sud l’ha fatta tutta, ndr) alla stazione di Bisceglie ci siamo commossi tutti con lui. A parte una caduta per blocco della catena, roba da poco, porto con me ricordi già bellissimi: dalla commozione di Giovanni all’interesse della gente quando spiegavamo le finalità della pedalata, alla partecipazione di Pippo Franco (l’attore li ha accolti in Puglia, ndr). La speranza è che il messaggio sull’utilità della attività fisica arrivi a chi ne ha bisogno. Penso che nella prossima edizione, se ci sarà, mi piacerebbe coinvolgere di più i reparti e, senza dare fastidio ai pazienti, portare la nostra testimonianza. E vorrò con me Gianluca D’Agostino”.

LA VOLATA DI GIANLUCA. Appunto Gianluca che mercoledì sarà sottoposto all’autotrapianto di midollo osseo, l’ultimo step delle terapie che ha dovuto fare, pesanti e debilitanti, per curare un linfoma. Anche Gianluca ha aiutato il suo fisico a reggere le cure mettendosi a pedalare. Ha fatto il primo tratto con Roberto, poi si è staccato dal gruppo, pedalando a distanza ma sempre collegato con gli amici che andavano verso Bari. Ha continuato insomma ad allenarsi per l’ultima salita che lo aspetta. A Gianluca, che dovrà stare qualche settimana in ospedale, fuori lo aspettano i figli Lorenzo e Ginevra, la moglie Chiara e ovviamente la bicicletta per pedalare verso un futuro di sogni che si fanno progetti: una casa al mare, tanto tempo con la famiglia, e un viaggio in bici. Ora non gli resta che spingere per la volata finale e uscire definitivamente dalla malattia. Ultimo sforzo da scalatore, alla Nibali, forza Gianluca!

IL VIAGGIO DI LAURA. Tra i “gregari” di Laudati c’è anche Laura, che ha vissuto col gruppo l’inizio della discesa da Nord a Sud. “Purtroppo ho partecipato soli due giorni per motivi di lavoro. Ero alla mia prima esperienza di viaggio in bici e la prima tappa è stato il mio record di pedalata più lunga. Vado in bici da pochi anni, ma pratico anche altri sport all’aperto, che mi hanno aiutato sempre a superare i momenti di difficoltà e ad avere più fiducia in me stessa. Pedalare con Roberto verso Bari è stata un’esperienza molto positiva che voglio assolutamente ripetere il prossimo anno, partecipando a tutto l’evento. Questa pedalata mi ha insegnato che “insieme è possibile”. Anche nella vita è così: quel che da soli sembra difficile, a volte addirittura impossibile, insieme diventa fattibile. Io sono una farmacista, sono vicina alla gente che soffre, e cerco di offrire ascolto soprattutto, e consiglio. Roberto dice una cosa molto giusta: “il malato non si deve sentire abbandonato”. Ho visto in lui una persona concreta, un medico come dovrebbero esserlo tutti, che quando guarda il paziente vede “la persona”, con le sue fragilità. E oltre ad essere un bravo medico è un ciclista instancabile! Gran bell’esempio!”

Valeria Ancione Corriere dello Sport 

Da Torino a Bari in bicicletta. Per dimostrare che è possibile convivere con una patologia onco-ematologica e che una vita attiva contribuisce non solo alla prevenzione dei tumori ma anche alla salute di chi ha già ricevuto una diagnosi di malattia, migliorando il benessere fisico e psicologico dei pazienti.

La pedalata avrà anche lo scopo di raccogliere fondi da destinare a borse di studio per laureati in scienze motorie che istruiscano all’esercizio fisico i pazienti ematologici dell’Oncologia Pediatrica di Torino e del Policlinico Tor Vergata di Roma. Aiutaci anche tu affinché Roberto possa raggiungere questi importanti traguardi Ogni piccola donazione aiuterà Roberto e noi a raggiungere i nostri obiettivi. Un grazie di cuore da parte di Roberto e de L’Arcobaleno della Speranza ODV, clicca qui per donare: nella causale potrai mettere Pedalata della Speranza https://www.arcobalenodellasperanza.net/speranza/dona-adesso/

 

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