Mercoledì 10 Giugno 2015
Sono sul treno per Roma. Sto andando ad affrontare il percorso iniziato cinque mesi fa.
Non ho mai scritto un reportage né un libro. Da dove si comincia? Partiamo dall’inizio, ma qual è l’inizio, perché in realtà la fine di gennaio ora mi appare la fine di tutto; oggi invece, dopo le innumerevoli prove di resistenza di Donatella, mi sembra un buon punto di partenza.
In questi giorni saremo di nuovo sottoposte a visite specialistiche ed esami e, se tutto va bene, entro fine mese completeremo il primo tratto di una lunga strada.
L’abbiamo percorsa insieme questa strada, fin dall’inizio, facendoci coraggio l’una con l’altra e prendendoci per mano ad ogni piccola difficoltà. Entrambe eravamo soprattutto convinte di lasciare mamma all’oscuro di tutto. La sua schietta ignoranza ci avrebbe giovato nel continuare a sostenere le bugie più banali e a somministrare invece, come si fa con il veleno, piccole dosi di verità fino ad oggi.
La diagnosi iniziale del 29 gennaio è stata tremenda. Nessuno di noi, anche amici e conoscenti, aveva informazioni affidabili su cosa esattamente fosse la leucemia mieloide acuta e quali possibilità di vita potesse offrire. Tutti però eravamo coscienti della gravità.
Gli specialisti che hanno preso in carico Donatella sono stati subito di una crudezza rara. Ci hanno rivelato immediatamente a che cosa si andava incontro, quali difficoltà potevano verificarsi di volta in volta con le fortissime cure chemioterapiche e soprattutto ci hanno messo in luce le peggiori, senza pietà.
Una cosa però sfugge alle fredde statistiche; ogni individuo ha una sua risposta personale alle cure e le cure stesse hanno un impatto diverso da un individuo all’altro.
Sin dai primi giorni, abbiamo cominciato ad assorbire termini medici nuovi, anche per poter capire bene che cosa i sanitari si aspettassero da noi. Sì, perché la malattia coinvolge tutta la famiglia e più si è informati e partecipi e meglio è.
Una cosa su tutte ci ha accomunato: la voglia di farcela a qualsiasi costo.
Fin da subito, io, come unica sorella, sono stata pregata di mettermi a disposizione per fare la “tipizzazione”. Oggi sono in grado di spiegare che si tratta di prelevare il sangue dei parenti più prossimi ed analizzarlo scrupolosamente per capire il grado di compatibilità con il malato nell’eventualità del trapianto di midollo osseo.
Un passo indietro. La risposta alle mie analisi si fece attendere, se ben ricordo, per una ventina di giorni, ma la dott.ssa Chierichini, eccellente ematologa, fece la sua comparsa in camera di Donatella con un sorriso raggiante, mai sfoderato prima, ed esclamò : “ Lei e sua sorella siete compatibili al cento per cento ! Lei non lo sa ma questo grado di compatibilità è riscontrabile solo nel 25% dei casi e molto spesso anche avendo molti fratelli; in altre parole, sua sorella le potrebbe dare una grande possibilità di guarigione.”
Donatella me lo scrisse via sms perché dall’emozione non era in grado di parlare. Io invece iniziai a piangere senza riuscire a smettere. Ricordo che mi trovavo a casa di mia madre e stavo preparando il pranzo per me e per Enzo, mio cognato, che proprio in quel momento stava suonando alla porta.
Andai ad aprire con il volto di Cristo in croce, con trucco sciolto e occhi rossi. Subito lui vedendomi, fece fatica a credere che si trattasse di una buona notizia!
Da quell’istante io entravo a piedi pari nell’operazione “Salvataggio”.
Ora lasciamo i ricordi e torniamo a noi.
Arrivo in orario alla stazione Termini. Saluto mia sorella e mia nipote Silvia, baci e abbracci…. Le quattro colleghe di Donatella, in arrivo da Milano con Italo, sono in ritardo di 30 minuti quindi nell’attesa prendiamo un caffettino al bar.
L’arrivo di Claudia, Lucia, Elena e Daria è per me commovente, anche se non le conosco ancora.
Sono venute a salutare Donatella così da lontano e questo mi basta. Sono simpatiche. Ci dirigiamo subito verso Via Nazionale perché lì ci raggiungerà anche Stefano, altro collega di Roma, per andare insieme al ristorante “Amatriciana” vicino al Viminale.
C’è un caldo boia a Roma ma ci sono tanto sole e tanti turisti e questo ci rende tutti euforici. Davanti al ristorante scattiamo foto di gruppo. Visto il nome del ristorante, potete facilmente intuire che cosa abbiamo mangiato a pranzo!
Le tre ore che abbiamo a disposizione trascorrono velocemente ma in allegria. Ci portiamo quindi verso la stazione che dista dieci minuti a piedi, le salutiamo e ci dirigiamo alla metropolitana per tornare a casa. Sciopero selvaggio!! “Semo romani”… allora taxi e bon…
Giovedì 11
Ore 8.00, puntuali all’appuntamento per il mio auto-deposito di sangue. Tre ore di attesa poi la scoperta che, mancando un esame non arrivato dal loro laboratorio, tutto si sposta di un giorno….”Semo romani”!
Digiune dalla sera prima, alle 11.30, all’ingresso del padiglione, ci mettiamo a mangiare come due muratori. A domani.
Venerdì 12
Voi non ci crederete ma quello che mi rimarrà impresso a lungo nella mente sono le attese.
Sono di nuovo in sala d’attesa, ne abbiamo già fatte tre, speriamo sia l’ultima della mattina.
Fatto il prelievo di sangue per emocromo ed altro, la colazione ci viene gentilmente offerta dal reparto; poi visita con questionario e finalmente salasso.
I donatori sono creature coccolate, ma sulle attese non c’è nulla da fare. Le attese sono democratiche, ci si mette in fila tutti.
Decidiamo quindi di partire domani mattina per Castel Giorgio per controllare i lavori del muratore e per salutare mamma. Donatella la rivedrà se va bene in ottobre.
La mattina si passa per intero al policlinico Tor Vergata per il pre-ricovero di Donatella.
Sabato 13
Si parte da Roma verso le 10.00 e arriviamo a Castel Giorgio alle 11.15. C’è un gran bel sole. Mamma sta bene ma soffre di solitudine. Si occupa lei di seguire i lavori in casa e la lasciamo fare perché si passa il tempo, mentre tormenta i muratori.
Ci sistemiamo nelle camere e dopo un rapido pasto ci riposiamo un po’.
La sera festeggiamo il compleanno di Enzo al lago di Bolsena. Torniamo da Picchietto per non avere sorprese e mangiamo pesce di lago davvero buono. Siamo tutti e tre di buon umore anche se siamo alla vigilia di un lunghissimo ricovero e cerchiamo di vedere le cose in modo positivo.
Domenica 14
E’ domenica mattina. Ripartiamo per Roma ed arriviamo a pranzo. Prima di lasciare il paese, un salto al cimitero per un saluto gagliardo a papà che, lo sento, ci sta aiutando moltissimo.
Lunedì 15
Giornata cupa e triste. Cielo plumbeo e caldo afoso asfissiante. Finiamo in mattinata di fare alcuni giri perché il ricovero è imminente. Devono chiamarci all’ora di pranzo, ma poiché ci avevano avvisato di una possibile agitazione del personale paramedico eravamo preoccupati per un eventuale cambio di programma o uno slittamento dei tempi.
Tutto questo avrebbe comportato la necessità di rifare visite ed esami, essendo questi soggetti a scadenza.
Quando alle 13.00 ci hanno avvisato che il ricovero sarebbe avvenuto il giorno successivo, abbiamo quasi esultato! L’evento tanto temuto diventava di colpo una lieta novella liberatoria.
Alle 21.30 Dony ed io siamo salite in terrazza per stendere i panni. Vedere Roma illuminata di notte è una emozione forte. Sulla destra si scorge il policlinico che ci accoglierà domani e che dista cinque minuti da casa. Dony decide di fumarsi un ‘ ultima sigaretta ma senza respirarla; la cosa mi tocca il cuore. Ciò che sta pensando non me lo dice, ma lo capisco, e con questo flash scendiamo in casa e ce ne andiamo a letto.
Martedì 16
Dony mette in ordine le ultime cose. Potrebbe stare fuori casa per qualche mese. Per fortuna oggi c’è un bel sole ed è caldo.
Alle 10.00 ci fanno entrare al Centro Trapianti. Sono tutte camere sterili, ambiente asettico ma confortato da luci e pareti di un caldo color pesca. Ci sistemiamo in camera con l’aiuto di Silvia che ci scatta anche alcune foto.
Alle 12.00 lasciamo sola Dony nella sua camera, ma ci conforta il fatto che possiamo andare a vederla in qualsiasi momento, anche se attraverso il vetro, e parlarle tramite citofono. Per entrare in stanza invece ci sono orari da rispettare. Domani tocca a me.
Mercoledì 17
Devo fare un secondo deposito di sangue. Prima faccio un salto a salutare Dony attraverso il vetro poi passo a ritirare la mia cartella clinica per portarla al trasfusionale.
Qui mi accolgono di nuovo con tanta cordialità e simpatia; mi fanno un primo prelievo e nell’attesa mi rifocillano. Poi una suora indiana, della quale non ricordo il nome, dolcissima e con un gran bel sorriso, mi fa sdraiare su una delle numerose poltrone letto e inizia con le successive operazioni di prelievo.
Ho fatto presto; nel giro di un’ora ho finito anche con le flebo di idratazione. Nel tempo impiegato simpatizzo con la suora che mi racconta la sua vita ed il suo doloroso distacco dall’India per amore del suo lavoro e dell’Italia.
Al termine mi rifocillano di nuovo, poi ritorno al reparto di Ematologia, consegno la cartella e saluto Donatella.
Enzo mi porta a casa, pranziamo, poi mi sdraio fino alla sera.
Giovedi 18
Verso le 10.00 Silvia ed io andiamo a trovare Dony e le parliamo al citofono. La dottoressa desidera incontrare i parenti, per cui aspettiamo un’ora poi ci fa accomodare.
Le sue parole sono macigni. Ci spiega esattamente, come fece a suo tempo la dott.ssa Chierichini del San Giovanni prima dei due primi cicli di chemio, quello che può accadere di più tragico in questo ultimo ciclo. Come accade quando nell’imminenza dell’assunzione di un farmaco ci azzardiamo a leggerne il bugiardino, ci snocciola tutte le tragedie che non vorremmo mai sentire.
La dottoressa è competente ma freddina; noi l’ascoltiamo attente e lei risponde a tutte le nostre domande.
All’uscita riferiamo qualcosa a Dony poi essendo ormai le 13.30 andiamo a casa a mangiare un boccone. Silvia piange. Questa conversazione l’ha destabilizzata e l’ha messa con i piedi per terra.
Venerdì 19
Sono le 11.00. Enzo, Silvia ed io siamo davanti al vetro della camera di Dony; lei è assopita. Sta prendendo chemio associata ad oppiacei che provocano sonnolenza.
Verso le 11.30 si sveglia e ci rimprovera per non averla svegliata. Non mi pare molto addormentata, anzi.
Verso le 13,15 torniamo a casa per pranzo e ripasseremo a trovarla verso le 18.00. E’ una vera comodità abitare a cinque minuti dall’ospedale.
Alle 18.30 le servono un pasto orrendo alla pari dei giorni precedenti però la presenza di Anna, trapiantata quattro anni orsono ed in buona salute, ci ridà tutte quelle speranze che qualche volta ci sono venute meno.
E’ magrolina ma piena di vita, una forza della natura. E’ prodiga di informazioni e la sua testimonianza è un toccasana per tutti .
Lunedì 22
Giorgio sta arrivando a Roma. Assieme a Silvia, vado a prenderlo alla fermata della metro. Viaggio tutto bene. Porta con sé una benefica ventata di ottimismo.
Passiamo prima da casa per lasciare la valigia poi andiamo subito a trovare Dony. Giorgio l’ha trovata esattamente come l’aveva vista prima della malattia.
Pranziamo poi un riposino. Al pomeriggio un giretto con Silvia e Giorgio poi di nuovo a trovare Dony.
Martedì 23
E’ arrivato il giorno X.
Sveglia, doccia e ulteriori preparativi. Devo essere alle 14.30 all’ospedale per il mio ricovero.
Alle 15.30 sono già in stanza. Non sono sola nella enorme camera. Conosco una signora di Velletri, molto simpatica e socievole; si capisce subito che ha una gran voglia di parlare. E’ sempre stata sola ed ora non le pare vero. E’ trapiantata da tredici giorni e non ha ancora iniziato l’alimentazione solida. E’ comunque in ripresa, i suoi valori si stanno sistemando e presto potrà tornare a casa. E’ felice quando le dicono che potrà finalmente mangiare una minestrina in brodo. Ha una stazza importante e non sembra aver patito la fame. Ci portano la cena in contenitori sigillati, affrontiamo la cena con le migliori intenzioni ma sia l’aspetto che l’odore non sono invitanti. Le stelline nel brodo sono diventate un “firmamento”. Anche lei ci è rimasta male ed era desolata di averci sprecato la dose di parmigiano. Non funzionando il televisore, ci siamo messe a dormire presto.
Che nottata! La sua flebo con macchinario attaccato faceva luce oltre che parecchio rumore. Io comunque ho cercato di rilassarmi in vista dell’intervento di domani.
Mercoledì 24
Prima del trapianto ricevo un messaggio da Dony: La vera forza mia sei tu, non sai quanto ottimismo mi trasmetti. Carattere proprio come papà, sempre calmo e filosofo, ma alla fine aveva ragione lui.
L’ intervento
Ore 5.30, di nuovo prelievi di sangue. Passano a depilarmi la schiena, poi faccio la doccia, mi metto in vestaglia e mi sdraio sul letto in attesa che mi vengano a prendere.
Alle 7.40 appare l’infermiera e mi consegna un camice usa e getta da indossare, più cuffia e calzari.
Mi sdraio di nuovo sul letto, saluto la mia compagna di nottata ed un incaricato mi trasporta per lunghissimi corridoi. Non ho paura, sono contenta che sia finalmente arrivato questo fatidico giorno.
Entriamo in ascensore e arriviamo in sala pre-operatoria. Sono in tanti e tutti mi sorridono, mi fanno dei complimenti e mi ringraziano. Continuo a non capire, perché questa mia disponibilità io l’ho sempre considerata assolutamente normale e necessaria.
Mi accoglie una anestesista molto giovane e alcuni medici mi fanno domande e compilano l’ennesimo questionario. Mi informano che mi faranno una pre-anestesia, prima però mi applicano un aggeggio sulla vena principale del braccio destro che mi servirà per tutte le infusioni o prelievi successivi. Mi fanno controllare che i miei dati personali e la firma apposta sulle sacche di sangue, precedentemente depositato, siano corretti poiché dovranno trasfonderle dopo l’espianto del midollo per bilanciare le perdite. Confermo tutto, infine mi chiedono nuovamente conferma sulla mia effettiva volontà alla donazione. Sono stupita. Rispondo che se sono arrivata fino a loro è perché sono convinta e lo sono sempre stata. Mi fanno presente che non è così scontato e che si sono verificati diversi casi in cui hanno dovuto interrompere tutto all’ultimo istante.
Compreso il mio assenso, mi portano nella sala operatoria vera e propria. Un freddo incredibile.
Anche qui ci sono parecchi medici e, anche se attraverso mascherina e cuffia, riconosco almeno tre ematologi incontrati durante il lungo percorso. Sono indaffarati, preparano gli strumenti e tanti siringoni allineati (mi dicono che sono 22 !). Per fortuna l’anestesista mi fa respirare profondamente in una mascherina e buonanotte…….
Il risveglio
Sento una voce lontana che chiama ripetutamente: signora Ida si svegli! Chissà perché questa signora Ida non risponde, penso dentro di me. Io sono Loretta, poi pian pianino torno alla coscienza e realizzo che Ida sono io, almeno sui documenti ufficiali.
Apro gli occhi e sono veramente intontita. Mi guardo intorno. Sulla parete a destra un grande orologio segna le 10.30. Sono in una stanza enorme (saprò poi che si chiama la stanza del “risveglio”) e ci sono almeno altri quattro letti con altrettanti pazienti da svegliare.
I miei saranno preoccupati. Provo a chiedere all’infermiera se posso telefonare a mia sorella e lei mi guarda come fossi un marziano. A quel punto le chiedo se lei può informare mia sorella che tutto è ok. Mi riguarda pietosamente e gentilmente; nulla di scortese ma capisco che non possono fare le segretarie di ognuno di noi. Allora cerco di mettermi calma. C’e’ un piacevole caldino nel letto; mi spiegano che si tratta di uno scaldino ad aria. Si sta davvero bene.
Da uno dei letti proviene una voce maschile che urla preoccupata che gli hanno tolto la vescica ma l’infermiera che ne vede di tutti i colori mi rassicura che non è vero nulla; si sta solo svegliando.
Io invece ho un gran raschio in gola per via dell’intubazione e tossisco in continuazione.
Intanto si sono fatte le 11.45! Quando mi portate in camera?, gracchio più volte. Risposta: quando troviamo un barelliere.
Finalmente il barelliere arriva ed inizia il viaggio di ritorno nei lunghi corridoi.
Come sospettavo i miei erano tutti in attesa nevrotici per questo ritardo. Li saluto con vigore e loro si sbracciano quando intravedono avvicinarsi il mio letto. Ci sono Silvia, Giorgio, Enzo ed Alex, un amico di Silvia. Sono felice di vederli.
Passo davanti alla camera di Donatella e prego Carmine, l’infermiere, di farmela salutare. Ci salutiamo commosse a voce alta sdraiate nei nostri rispettivi letti. Vengo a sapere di lì a poco che mi hanno trasferito in un’altra camera. E’ di quelle pressurizzate uguale a quella di Donatella e poco lontano dalla sua. Gli infermieri hanno anche iniziato a trasferirci tutta la mia roba.
La mia compagna di ieri notte, mi dicono, era molto preoccupata nel non vedermi arrivare e vedendo che stavano togliendo tutta la mia roba ha pensato che mi fosse successo qualcosa di grave e ha iniziato a pregare, rosario alla mano. Poveretta, appena possibile andrò a trovarla.
Vengo a sapere che il mio midollo è abbondante e di ottima qualità ed hanno già iniziato il trapianto su Donatella. Sono felice!
Le infermiere le augurano “Buon secondo compleanno”! E’ la prassi.
Mi vietano di bere e mangiare fino a nuovo ordine, ma mi sento bene e vorrei alzarmi per andare a trovare Donatella ma mi viene proibito.
Devo stare a riposo così come Donatella che sta facendo il trapianto. Entrambe invece siamo tarantolate e lei addirittura gironzola per la stanza con il carrello della flebo con tanto di midollo appeso. Poco dopo le daranno un sedativo…
Andati via tutti, provo ad alzarmi. Mi hanno appiccicato sul fondoschiena un gagliardo cerottone tipo pannolone e sono tutta impiastrata di tintura di iodo per cui vado in bagno e mi lavo come posso. Cambio maglia, pigiama e mi metto un po’ in ordine. Rassetto anche il letto e proprio in quel momento entra il primario con tutti i suoi al seguito. Ridono tutti sotto le mascherine per la mia vitalità e ancora una volta nel congedarsi mi ringraziano per la mia disponibilità.
Resto a riposo fino al pomeriggio, poi mi bardo con tutti gli ausili sterili che trovo tipo camice, calzari, cuffia, mascherina e faccio un salto a trovare Donatella. Mi vede bene e finalmente si mette tranquilla.
Mi fanno mangiare, ricevo la visita dei miei; li vedo attraverso il vetro e parlo con loro al citofono. Siamo tutti molto contenti.
La sera vengono a visitarmi e mi trovano un rialzo febbrile, perdite ematiche nel fondoschiena e grande gonfiore. Mi rassicurano che è normale e che passerà tutto con le medicazioni.
Vado in bagno e dallo specchio provo a guardare. Il gonfiore mi ha conformato il sedere proprio come ho sempre sognato, a mandolino, non più piatto ma con le giuste rotondità. Non mi dispiace.
Non dico niente a nessuno e buonanotte. Arrivano con pacchi di ghiaccio da applicare sopra e sui quali dovrei dormire; accendono il neon notturno, un faro molto disturbante, e con la compagnia dell’aria pressurizzata rumorosa tipo cascate del Niagara dovrei prendere sonno. Che nottata!
Giovedì 25
Il mattino in ospedale inizia presto. Alle prime luci dell’alba passano per prelievi di sangue e controllo di temperatura, pressione ed altro. Chiedo quando mi faranno uscire e mi rispondono che dipende dall’esito degli esami. Mi appresto a fare una doccia ma devo combattere con le cellule fotoelettriche. L’acqua scende quando vuole ed alla temperatura che vuole. Una cosa penosa, così come il televisore. Sembra che qui i più banali oggetti tecnologici non godano di adeguata manutenzione.
Ricevo molti messaggi dalle mie amiche del cuore e rispondo a tutte.
Alle 12.45 confermano le mie dimissioni da lì a breve. Arriva una simpatica dottoressa con gli incartamenti necessari, faccio entrare Giorgio che mi aiuta a liberare la stanza, poi corro da Donatella per salutarla. I dottori mi dicono che il suo decorso è buono.
Venerdì 26
Facciamo le nostre solite due visite giornaliere a Donatella, una verso le 11.30 e l’altra alle 18.30. Preferiamo vederla attraverso il vetro e parlarle al citofono per evitare pericolose contaminazioni esterne.
Il lungo corridoio che accomuna tutte le stanze sterili ci permette di conoscere persone meravigliose e prodighe di consigli. Ci scambiamo pareri e conforti. Non ci si sente soli.
Sabato 27
Giorgio ed io vogliamo fare un pensierino a nostra nipote. Sappiamo che è patita per gli occhiali da sole e la portiamo da un ottico vicino casa; dopo varie prove trova l’articolo giusto. E’ bella, solare e ha tanto bisogno di supporto. E’ smarrita ed anche un piccolo oggetto la rende contenta. Ci accompagna in macchina a trovare la mamma in ospedale, che dista solo cinque minuti da casa loro. E’ stata veramente una fortuna abitare in un appartamento così vicino, che in tutto questo periodo è stato il nostro ricovero.
Questa sera Enzo vuole portarci a cena fuori, al ristorante “Il Cavalluccio Marino” dove si mangia del buon pesce. Serata piacevole e spensierata con dell’ottimo pesce. Donatella per telefono dalla sua camera ci dispensa consigli sulla scelta dei piatti da preferire. E’ un modo per stare con noi.
Domani, in mattinata, Giorgio ed io torniamo a Modena.
Domenica 28
Mattinata in casa a fare i bagagli, preparare qualche panino e sistemare le ultime cose. Enzo ci accompagna alla stazione Tiburtina. Quando è il momento di salutarci torna a ringraziarmi per quello che ho fatto e, per la prima volta da quando lo conosco, si lascia andare alla commozione. Io, che in questo periodo ho le lacrime in tasca, non sono da meno e gli prometto con tutto il cuore che CE LA FAREMO!
Quando sono in treno ricevo da Silvia un messaggio molto commovente:
“Se la mamma ce la fa è solo merito tuo, quindi complimenti per la donna che sei. Saranno tutti strafierissimi di te, il nonno soprattutto, lo so. Grazie per aver donato una speranza alla mia mamma. Io senza di lei sono nulla. Ormai oltre al nonno, anche tu sei il nostro angelo e speriamo che le mie preghiere vengano ascoltate. Ti voglio tantissimo bene. Nella vita tu potrai dire di aver davvero salvato la vita a qualcuno e non c’è nulla che valga tanto. Ogni giorno in più da oggi è regalato da te. Sono una matita nelle mani di Dio, come dice madre Teresa”.
Ringraziamenti
Ringrazio Enzo, che ci ha lasciato il 17 settembre di quest’anno. E’ stato al mio fianco nei momenti più bui, scarrozzandomi da un ospedale all’altro di Roma per tutte le visite ed esami. Lo ricorderò sempre per la sua straordinaria disponibilità verso tutte le esigenze di Donatella, senza mai perdere la speranza della sua guarigione.
Questo breve diario è dedicato a lui.
Ringrazio Giorgio e Carlo, che anche se da lontano mi sono sempre stati vicini e mi hanno supportato e incoraggiato in questa avventura.
Ringrazio tutte le mie amiche del cuore per l’affetto e l’amicizia dimostrati con i loro messaggi di sostegno.
Ringrazio infine Donatella che mi ha permesso con tutto questo di diventare una persona migliore.
Loretta
Modena, 10 novembre 2020